martedì 24 febbraio 2015

Non sono Daverio ma sono un illustratore "romano de Roma".


Sono cresciuto andando a caccia dell'imprendibile anamorfosi di S. Trinità dei Monti, quelle di Sant'Ignazio, la finta prospettiva del Borromini a Palazzo Spada, le differenti leghe delle ferite del Pugilatore in Riposo, conservato al Museo Nazionale Romano, le chicche, le curiosità, le particolarità.
E non per questo, ma in cerca di questo mi sono sempre chiesto quanti romani conoscono veramente Roma... escludendo certo er Cuppolone, il Colosseo e Piazza Navona. Quanti romani camminano per strada guardando in alto? E' una domanda che varrebbe la pena di fare ad ogni abitante della propria città.

Milena Canonero ha vinto il suo quarto Oscar e qualche giorno fa ci siamo recati a Palazzo Braschi, per visitare la mostra I Vestiti dei Sogni. Se lavori come l'illustratore è un atto dovuto.


Io ricordo Palazzo Braschi soprattutto per questa foto del 1934. Pochi romani sanno che il palazzo è sede del Museo di Roma e ancora meno sanno cosa c'è nel Museo di Roma.


Superata la biglietteria, ci viene detto che la mostra dei vestiti è al primo piano. Nessuno ha spiegato all'addetto che quei vestiti si chiamano costumi e pazienza, d'altronde lì c'è scritto "i vestiti dei sogni"... Saliamo una scalinata maestosa, di bianco e di marmo, statue, altorilievi, grifoni e un valzer viennese: la musica ci accoglie all'ingresso della mostra.

L'allestimento è sobrio ma elegante, i testi molto curati e i costumi... beh, i costumi...



Foto rubate in rete - Copyright degli aventi diritto

I costumisti italiani hanno fatto scuola in tutto il mondo e dietro a ogni costume, ogni film, ogni maestro c'è una scuola di pensiero e un mondo di aneddoti. Un esempio frivolo: fra i costumi de Il Gattopardo (indovinate quale foto), il bustino del vestito centrale misura 53 cm, ovvero 15 in meno rispetto alle misure della Cardinale, la quale dopo averlo ripetutamente indossato durante le riprese, portò le piaghe per un mese. E questo perché... ma non divaghiamo.

Dopo qualche sala, arriva per me un momento d'emozione quando incappo in alcuni costumi che Massimo Cantini Parrini ha realizzato per The Tale of Tales, film di Garrone in fase di postproduzione.
L'emozione si spiega facilmente: è già raro che uno storyboard artist lavori per qualche mese ad un film italiano (generalmente ti coinvolgono per poche scene) e quando capita, senti di aver contribuito tanto, come avviene probabilmente di solito al resto del cast tecnico. Ma questo film in particolare rappresenta una sfida per il nostro Cinema, perché l'ultimo fantasy di cui abbiamo memoria è Fantaghirò.
Silenzio e gelo lungo la schiena.

L'importanza dell'opera di Basile, da cui nasce con ambizione il progetto e il lavoro dei quattro sceneggiatori e l'enorme passione (in senso biblico) di Garrone e l'esperienza di un gigante fra i direttori della fotografia e la caratura degli attori coinvolti e le musiche di Desplat (anche lui fresco vincitore di Oscar) e l'entusiasmo del reparto di effetti speciali, ma anche di chiunque altro abbia partecipato alla lavorazione: sono i presupposti che ci fanno fortemente sperare che questa "creatura" sia un bimbo bellissimo.
Di quanto prodotto finora ho visto poco, ma ho visto bene.

Costumi indossati da Vincent Cassel e Salma Hayek

Il nostro viaggio attraverso i costumi prosegue per più di un'ora e il Museo di Roma non è semplicemente una cornice, ma un luogo di rara bellezza (contenitore e contenuto). Se sei romano, una meta immancabile. Se sei romano ed è la prima domenica del mese, una meta immancabile con ingresso gratuito.
La storia del museo, che non nasce nell'attuale sede, è affascinante.
Le opere esposte testimoniano le trasformazioni della città e dei suoi costumi dal XVII secolo in poi.
Intraprendi un nostos alla Roma fatta di cattedrali nel deserto...

La Basilica di San Giovanni in Laterano, di Ippolito Caffi (1857). Intorno il nulla o poco più, in lontananza i Castelli Romani.
Altra veduta a me cara, una specie di ZOOM IN rispetto al quadro precedente, perché mostra Monte Cavo e i Castelli che, rispetto ad oggi, appaiono praticamente disabitati. Ippolito Caffi (1843).
Roma in lontananza, raccontata attraverso La Festa degli Artisti a Tor de' Schiavi, di Ippolito Caffi (1844). Osservando l'originale si riconoscono San Giovanni, P.zza del Popolo, San Pietro e qualche palazzo. Tutto il resto è campagna.

Dipinto dopo dipinto, ti ritrovi a immaginare la vita della plebe contrapposta ai festeggiamenti ricchissimi e sfarzosi per qualsiasi evento di minima importanza e intuisci che quell'immagine di "Roma ladrona, Roma infame" fondamentalmente appartiene al patrimonio genetico della città. La Grande Bellezza è lo spettro o più semplicemente la carcassa della grandezza che fu.

Altare Patrio a P.zza SanPietro per la Festa della Federazione. Felice Giani (1798). Il dipinto fu eseguito per commemorare la più importante cerimonia avvenuta a Roma dopo l'occupazione francese e la proclamazione della Repubblica giacobina il 10 febbraio 1798: la Festa della Federazione che fu celebrata il 20 marzo successivo. L’autore, Felice Giani, descrive la complessa coreografia di cortei militari che, percorrendo Roma, occupavano i luoghi simbolici della città pontificia.
La Giostra dei Caroselli nel Cortile di Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia. F. Gagliardi e F. Lauri (1656-1659).
La Giostra si svolse in onore della regina Cristina di Svezia, nella notte del 28 febbraio 1656, nel cortile della Cavallerizza di palazzo Barberini. Il grandioso allestimento, costato settemila scudi, comportò persino la demolizione di alcune case attigue, per far posto ai palchi ed alle tribune dove sedevano i rappresentanti della corte pontificia, secondo una gerarchia sociale riprodotta con precisione. Lo spettacolo consisteva in un’allegoria mitologica molto complessa, interpretata da personaggi abbigliati con variopinti costumi, che sfilavano su carri trionfali e cavalli con ricche bardature. Il dipinto fu eseguito a quattro mani: Filippo Gagliardi è autore delle architetture e delle scenografie, mentre Filippo Lauri, ritrasse le figure del carosello con una sorprendente esattezza fisionomica ed espressiva.
La Giostra del Saracino a P.zza Navona nel Carnevale del 1634. F. Gagliardi e A. Sacchi (1656-1659).
Il dipinto illustra l'evento tenutosi a piazza Navona il 25 febbraio 1634 durante il Carnevale e organizzato dal cardinale Antonio Barberini, in occasione dell’arrivo a Roma del principe Alessandro Carlo di Polonia. Nonostante l’improvvisa partenza dell’illustre ospite, l’evento si tenne ugualmente fornendo il pretesto per fare rivivere la tradizione cavalleresca e allo stesso tempo celebrare i fasti dell’aristocrazia romana.

Arrivi a farti un'idea un po' più precisa di quanto queste famiglie potentissime romane (d'origine o impiantate) vivessero nel lusso, quando incappi nel povero "Bambino Rospigliosi", il cui caso è curioso a dir poco...
Tra il 1667 e il 1670 il Cav. Niccolò Banchieri (il cognome la dice lunga) e donna Caterina Rospigliosi decisero di far ritrarre loro figlio Pietro in almeno 11 differenti costumi, 3 dei quali da dama. Immaginate questo bambino in posa per giorni, settimane, ogni volta con un costume differente...

Su wikipedia trovate maggiori informazioni
Pietro in tre versioni...
Gli autori delle opere: Jacob Ferdinand Voet, Pierre Ronche, Carlo Maratta e da un anonimo romano.

Come avrà passato il resto della sua vita Pietro Banchieri, ricordato dai posteri come il trasformista Bambino Rospigliosi?

Il viaggio fiabesco attraverso le meraviglie del Museo di Roma s'interrompe alle 19:00, orario di chiusura. Fra i tanti pittori ammirati, Ippolito Caffi mi resta nel cuore: modesto nella tecnica, non un virtuoso, ma schietto e forte della sua semplicità espressiva. Capace di dipingere un capolavoro come questo...

Interno del Colosseo con fuochi di bengala. 1845 ca.

Purtroppo è difficile reperire immagini delle opere di Caffi a una buona risoluzione. Ma curiosamente ho trovato sul sito del Museo un interessante tariffario per il licensing di questa specifica immagine. L'Arte non paga, la cultura affonda, i musei in Italia vengono declassati, non hanno fondi per il personale e chiudono le sale. A fronte delle tantissime iniziative che potrebbero portare soldi al nostro paese, potenzialmente capace di campare di rendita grazie ai beni culturali, mi chiedo quanto sia sensato far pagare i diritti di sfruttamento per la fotografia di un'opera che molto probabilmente è stata donata. Non trovo risposta alla domanda, perché è prassi di qualsiasi altro museo del mondo.

Licensing un po' confuso e con molte lacune.



4 commenti:

Giorgio Salati ha detto...

Davvero meraviglioso il dipinto del Caffi.

il decu ha detto...

Eh, sì. :)

Anonimo ha detto...

Carino il passaggio su Pietro Banchieri. Era il mio ottavolo!

il decu ha detto...

OHTTAVOLO!

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